La saggistica sul colonialismo italiano ha avuto un andamento non lineare. Il ventennio fascista ha visto una produzione sull’argomento abbondante ma viziata da esigenze propagandistiche, ad eccezione di alcuni lavori notevoli come l’opera di Raffaele Ciasca. Nel dopoguerra e fino agli anni Sessanta la storiografia, salvo qualche raro caso, ha avuto un carattere giustificativo e assolutorio delle nostre imprese africane, accompagnata da una memorialistica nel suo complesso agiografica.
Negli ultimi decenni, invece, il taglio è cambiato radicalmente e gli storici nella loro quasi totalità hanno espresso netta e chiara la loro condanna nei confronti del colonialismo nel suo complesso e di quello italiano in particolare, con accenti di durezza verso l’avventura fascista contro l’Etiopia per i suoi specifici aspetti negativi. Tra essi il razzismo conclamato e codificato, l’obiettivo di completa marginalizzazione dei nativi dalla vita istituzionale, l’antistoricità dell’aggressione all’unico stato libero africano, le azioni di violenza e repressione nei confronti della popolazione autoctona, le immense risorse sottratte allo sviluppo della madrepatria, specialmente al meridione, il cambio del quadro internazionale che ne derivò a svantaggio dell’Italia.
L’indagine è stata rivolta soprattutto agli elementi politici, militari, diplomatici ed economici per individuare cause, effetti e forze che svolsero un ruolo importante e decisivo in tali eventi. Questa impostazione ha portato, tuttavia, a marginalizzare l’esame degli aspetti legati alle trasformazioni socio-economiche apportate all’Etiopia con i contraccolpi che ne derivarono sulle classi dirigenti indigene, prima e dopo la nostra uscita di scena.
Né sono stati esaminati a fondo gli elementi peculiari della società italiana in fase di formazione in quelle terre che presentava caratteristiche complessivamente rivoluzionarie rispetto al colonialismo tradizionale.
Così, nessuna ricerca approfondita è stata finora fatta su chi erano i coloni italiani, come vivevano, quali erano i loro valori dominanti, gli stimoli per recarsi in terra d’Africa, quale il loro contributo al tentativo di trasformazione dell’Africa Orientale Italiana. Non certo una dimenticanza casuale, né tanto meno una sottovalutazione del fenomeno, quanto piuttosto una conseguenza logica della condanna senz’appello dell’avventura fascista, all’interno della quale si sono svolte le loro vicende.
Questo lavoro, pertanto, rappresenta un tentativo per iniziare a colmare quel vuoto entrando nel mondo dei pionieri italiani, che va ricordato, era costituito da uomini che non furono né santi, né eroi, ma neppure demoni bensì persone comuni con il loro fardello di pregi, difetti, vizi, pregiudizi comuni all’umanità del tempo sotto qualsiasi latitudine, recatisi in quelle terre con una serie di motivazioni di cui la principale era certamente di ordine economico.
Donne e uomini normali, dunque, salvo forse che per due aspetti che nell’impero sovrastarono tutti gli altri: l’intraprendenza, sempre presente nei fenomeni migratori e la gioventù che fu prevalente su una massa di oltre trecentomila italiani, tra civili e militari, presenti in Africa orientale.
Un’umanità che nel complesso, dopo anni di sudore e lavoro, chiuse tragicamente quell’esperienza. Tanti, infatti, persero la vita nei campi di battaglia o per cause legate agli eventi bellici. Molti, soprattutto donne, vecchi, bambini e malati, rientrarono in patria con le navi bianche avendo perso tutti i loro averi e dovettero sopravvivere con un misero sussidio di poche lire alla vigilia dell’arrivo del fronte di guerra in Italia. La gran parte, infine, passò in condizioni di cattività non meno di cinque anni dietro il filo spinato dei campi di prigionia inglesi sparsi in Africa e in Asia.
Per analizzare questa realtà abbiamo attinto notizie e informazioni dalla saggistica sull’argomento non trascurando quella ancora modesta degli storici autoctoni. Abbiamo estrapolato elementi utili dalla memorialistica, facendo ben attenzione al fatto che essa è pur sempre un’espressione della coscienza della classe dominante dell’epoca, dai reportage giornalistici, dai periodici coloniali e da “Gli Annali dell’Africa Italiana” che nei ventitré volumi pubblicati dal 1938 fino al giugno 1943 rappresentano, sfrondati dagli aspetti retorici e propagandistici, una miniera inesauribile di dati e notizie e una galleria iconografica notevole.
Abbiamo, infine e soprattutto, preso in esame il contenuto dei quotidiani e periodici locali di maggiore diffusione quali il “Corriere dell’Impero” stampato in Addis Abeba e il “Corriere Eritreo” di Asmara con i loro supplementi sportivi, la rivista “Etiopia” e il suo supplemento quindicinale “L’Impero Illustrato”. Queste pubblicazioni si sono rivelate una fonte importante e originale di notizie concernenti il modo di vivere degli italiani in colonia sotto diversi aspetti. Articoli, comunicati, notizie, curiosità, rubriche, annunci pubblicitari che hanno avuto il pregio di rivelare meglio di qualsiasi altro mezzo la vita quotidiana di questi nostri connazionali.
Tra le fonti orali, per la verità sempre più rare oggi che sono passati settanta anni dagli eventi in trattazione, ne abbiamo utilizzata una che ci è sembrata di particolare interesse. Da un’intervista rilasciata da una donna che, pur avanti negli anni, è apparsa dotata di memoria vivida e di tale lucidità da non lasciare nulla alla fantasia deviatrice della realtà, abbiamo estrapolato un paragrafo che ci pare rappresentare un compendio realistico del vissuto di una buona parte delle donne emigrate in terra d’Africa.
La struttura dell’opera si articola in quattro parti. La prima di analisi delle peculiarità del colonialismo fascista, di sintetica descrizione della situazione dei territori dell’Africa orientale, precedente il conflitto italoetiopico e delle operazioni belliche fino alla loro conclusione. La seconda riguarda l’organizzazione dell’impero dal punto di vista istituzionale, politico e amministrativo e le trasformazioni che furono apportate nell’Africa Orientale Italiana nell’arco dei cinque anni di occupazione italiana: gli investimenti effettuati, le infrastrutture create in ogni campo e lo sviluppo economico nel settore industriale, commerciale e dei servizi compreso quello dell’ospitalità, nonché la tutela del lavoro e gli aspetti previdenziali con le soluzioni innovative realizzate o previste. Descrive, infine, il piano di sviluppo dell’agricoltura e l’originale progetto di colonizzazione demografica in fase di realizzazione al momento della sconfitta. La creazione, infine, e la trasformazione dei centri urbani secondo le linee dei piani regolatori.
La terza tratta la società coloniale nei suoi rapporti con i nativi, nella composizione e stratificazione sociale ed economica, nella ricerca di un modello di vita originale, nel contributo alla modernizzazione del paese, nell’utilizzo del tempo libero e nel cammino verso la tragica conclusione di quest’esperienza.
L’ultima si riferisce al periodo che va dalla sconfitta fino ai giorni nostri.
Un lavoro, dunque, che nasce dall’elaborazione di un complesso di dati e notizie, molte delle quali inedite e cerca di dare un quadro quanto più aderente alla realtà di ciò che gli italiani fecero nel bene e nel male in quel lustro intenso e tragico della storia d’Italia e delle memorie che ancora oggi è possibile rintracciare in quella parte martoriata del continente africano.
Fabrizio Di Lalla
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