giovedì 6 maggio 2010

L'IMPERO ITALIANO IN AFRICA: UN TRAGICO POSTO AL SOLE

C’era una volta l’impero italiano. Un’illusione megalomane, un progetto ambizioso costato sangue, fatica e ingenti risorse all’Italia a ridosso del secondo conflitto mondiale, destinato a durare appena una manciata d’anni, tra il 1936 – la proclamazione in pompa magna è del 9 maggio – e il 1943, alla caduta di Mussolini. Un impero effimero, che si merita davvero l’aggettivo di “breve”, al pari di quel “secolo breve”, con cui Eric Hobsbawm ha definito il XX secolo.

L’idea dell’impero veniva da lontano, dai libri di scuola che illustravano gli splendori dell’impero romano e da un confuso bisogno di emulare le grandi potenze europee, che godevano di “posti al sole” in tutto il mondo. L’apertura del fronte coloniale, sulle base delle precedenti esperienze in terra africana tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, avrebbe risolto in parte i problemi della disoccupazione e, allo stesso tempo, assicurato maggiori consensi al regime fascista.

Il 1935, a questo proposito, è l’anno cruciale. Da allora comincia un flusso inarrestabile di persone e di mezzi nei territori d’oltremare. La convinzione di un’Italia “buonista”, che porta la civiltà nella parte più depressa dell’Africa Orientale Italiana (conosciuta con l’acronimo A.O.I., cioè l’Eritrea, la Somalia e l’Abissinia, l’attuale Etiopia), costruendo strade, scuole e ospedali, è contrastata dalla condanna storica di un’inutile aggressione nei confronti delle popolazioni autoctone, dal razzismo diffuso, dalla violenza della repressione, dai bombardamenti, dall’uso di gas micidiali. Veri crimini di guerra.

Una pagina certamente non brillante della nostra storia, che Fabrizio Di Lalla ricostruisce con meticolosa puntualità in un ponderoso volume edito da Solfanelli. Al di là della cronaca ufficiale, dei bollettini di guerra, delle autocelebrazioni e dei proclami (sostenuti da una capillare opera di propaganda, che non dimentica neppure la stampa illustrata per l’infanzia), Di Lalla mette in luce il lato sociale dell’avventura italiana in Africa, ricostruendo la vita quotidiana, l’ambiente e la cultura degli uomini e delle donne che parteciparono all’impresa coloniale, spinti dalle più diverse motivazioni, ma destinati a restare comunque soli di fronte al passaggio della Storia. Non un tentativo di giustificazione, ma piuttosto “una descrizione appassionata e documentata del destini di tanti esseri umani, in gran parte umili lavoratori, ognuno in cammino verso la propria tragica odissea”.

Carlo Bordoni

http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=81&det=6695